La Cividini, industria di semilavorati per l’edilizia situata ad Osio Sopra, dodici chilometri a sudovest del capoluogo, ha chiuso a luglio 2012, in parte per il collasso del settore edile, in parte perché comprata da un altra ditta (la RDB di Piacenza) che, dopo aver usato l’acquisizione per quotarsi in borsa e rastrellare risparmio, ha cominciato una pesante ristrutturazione ed è ora in amministrazione controllata. Lo stabilimento di Osio è attualmente sotto sequestro giudiziario perché vi è stato trovato dell’amianto non bonificato.
Osio è al centro di una conurbazione di rilevanti dimensioni fra Bergamo e Milano. Tra Dalmine e Brembate, Verdello e Verdellino vivono circa 70.000 persone. L’area, storicamente agricola, ha subito una prepotente industrializzazione centrata sulla TenarisDalmine, una delle principali industrie siderurgiche italiane (ora di proprietà olandese), e legata soprattutto all’edilizia. Negli ultimi cinquant’anni sono cresciute una moltitudine di piccole aziende che hanno saturato il territorio di capannoni e costruito una continuità urbana che non lascia respiro.
La Cividini segue questa dinamica: nata come piccola ditta edile familiare, è cresciuta passando di mano in mano per tre generazioni, mantenendo sempre una forte presenza della proprietà direttamente in linea di produzione, con rapporti umani spesso conflittuali ma molto diretti. Con l’acquisto da parte di RDB ha mutato pelle: parziale uscita dal settore dei capannoni, dirigenza lontana e dimensioni di livello internazionale (dodici milioni di italiani vivono in case costruite con componenti RDB).
La chiusura dello stabilimento di Osio – che, compresi i terzisti, dava lavoro a quasi quattrocento persone – è stata annunciata con un comunicato di poche righe in rete. Successivamente, RDB è fallita, ed ora l’intera partita è passata nelle mani del Tribunale di Piacenza e dei curatori.
I dipendenti dell’ex-Cividini sono rimasti senza lavoro e senza stipendio da luglio 2012. La cassa integrazione, prevista per il momento per dodici mesi, ha cominciato ad essere erogata solo a dicembre 2012 – e chi, nel frattempo, è andato in banca a chiedere un anticipo si è visto opporre un netto rifiuto, o proporre poche centinaia di euro.
Alcuni fra i licenziati hanno progettato una cooperativa, che avrebbe dovuto essere finanziata con TFR e buonuscite, ma i curatori fallimentari non hanno ritenuto congrua l’offerta, ed ora gli stessi macchinari che avrebbero dovuto essere rilevati sono in via di smantellamento, e verranno smaltiti come ferro vecchio. L’intera azienda è in via di svuotamento, e ad oggi è impossibile pensare ad un futuro produttivo per l’area.